Povere, anzi... ricchissime spiagge Adriatiche!

14.05.2014 17:48

Lungo la costa Adriatica della nostra penisola i residui ambienti litoranei semi-naturali che presentano ancora oggi sistemi di microdune e flora specializzata sono ridotti a ben poca cosa, fazzoletti di naturalità barricati su promontori rocciosi (Conero, Punta d'Erci, Gargano) o esili striscioline di "naturalità" circondate dall'ulteriore avanzata del cemento. Basti pensare che l’urbanizzazione nella fascia costiera a ridosso del mare è aumentata del 300% negli ultimi 50 anni, raggiungendo addirittura percentuali del 400% in alcuni comuni (tanto per farvi un'idea aggiornata e precisa, leggetevi questo studio svolto dall'Università dell'Aquila nel 2013 e pubblicato nella rivista Land use policy).

Nelle Marche la situazione è tutt'altro che rosea: se escludiamo le spiagge più remote del Conero (comunque in via di turisticizzazione), la falesia a mare del Monte San Bartolo e l'area protetta della Sentina, i pochi tratti di spiaggia "libera" da infrastrutture e manufatti (...il che non significa necessariamente "naturale", dato che vi è un continuo passaggio di ruspe & trattori per operazioni di pulizia e livellamento dell'arenile) si contano veramente sulle dita di una mano. Nel pesarese, ad esempio, potete imbattervi nell'area floristica protetta della "Baia del Re" (eccovi la scheda tecnica), così come tra P.to Recanati e Civitanova Marche sono presenti altre due aree di interesse floristico e geomorfologico ("Potenza Picena" e "Fontespina"). Per saperne di più su cosa sono le aree floristiche protette, felice intuizione della Regione sin dal 1974 (su indicazione dei botanici di Camerino), eccovi il link alla pagina istituzionale: purtroppo sono rimaste solo sulla carta, o quasi....

 

Ora, il punto è: perché è così importante tutelare "quattro piante erbacee" (per giunta piene di spine) e piccoli accumuli di sabbia così fastidiosi per chi vuol giocare a beach-volley? 

I motivi sono molteplici: basti ricordare che l'ambiente litoraneo è un qualcosa di veramente eccezionale dal punto di vista biologico. Si tratta di una zona di confine così "estrema" che pochi animali e poche piante molto specializzate (dette "psammofile ", amanti della sabbia, e "alofile ", amanti del sale) riescono ad insediarvisi in modo permanente, contribuendo alla stabilità della spiaggia emersa (o backshore): la riduzione di tratti di spiaggia relativamente naturali ha causato la rarefazione e l'estinzione locale di numerose specie, esponendo le fasce retrodunali (oggi occupate da strade, edifici & co.) a forme di erosione e a frequenti depositi di sabbia per trasporto eolico. Nel 2009, peraltro, si è svolto un convegno nazionale sul tema: qui trovate gli atti che contengono ottimi spunti di approfondimento e riflessione.

Sin dalla fine degli anni '70 del secolo scorso i comuni marchigiani che ospitano i residui lembi di litorale "selvaggio" sono consapevoli dell'importanza di questi ecosistemi unici,con tanto di inserimento in PRG e strumenti vari di pianificazioone territoriale: in alcuni casi possono anche diventare fonte di valorizzazione turistico-naturalitica della spiaggia (eccovi, ad esempio, il bel progetto dei naturalisti senigalliesi afferenti allo studio "Diatomea"), salvo poi dove fare i conti con le  consuete pratiche  di gestione della "cosa pubblica" (ad onor di cronaca, trovate qui anche la replica dell'Amministrazine comunale). Schizofrenia all'italiana a parte, nulla di strano: a rimetterci, come al solito, è l'ambiente (...e il cittadino comune che poi paga per "riparare" le "sviste" della Pubblica Amministrazione).

Ad ogni modo, per avere qualche riferimento in più circa la "ricchezza" del litorale di Senigallia, con tanto di mini-proposta per la gestione naturalistica/ecoturistica delle "aree dunali", vi rimando ad un mio "vecchio" e modesto articolo pubblicato nel 2004 sulla rivista Biologi Italiani (e consegnato, per opportuna conoscenza, all'allora Assessorato all'Ambiente):  eccovi il pdf .